Prima Domenica di Quaresima – (21.2.2021).
Gn. 9, 8-15; 1Pt. 3, 18-22; Mc.1, 12-15.
Omelia di don Gianfranco
Lo scorso mercoledì, delle s. Ceneri, abbiamo iniziato la celebrazione del Tempo Forte della Quaresima. Quaranta giorni, nei quali vivremo l’attesa della celebrazione della s. Pasqua, mistero di Passione, Morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, mistero della nostra salvezza, quale liberazione dal peccato, dal male, e speranza di risurrezione alla fine dei tempi per tutti noi.
Lungo i secoli del tempo la Chiesa ha vissuto questi quaranta giorni con i catecumeni, coloro che chiedevano di entrare a far parte della Chiesa, quale preparazione immediata per ricevere il battesimo nella Pasqua. Li ha vissuti pure come tempo nel quale coloro che avevano commesso particolari peccati si sottomettevano a forti penitenze, per essere riammessi nella Chiesa, sempre nella Pasqua. E li ha vissuti come invito a tutti a ricordare la propria debolezza che ci porta al peccato, ma soprattutto il nostro ritornare alla dignità originaria di immagine e somiglianza con Dio, a noi ridata dal mistero della Pasqua di Gesù. Durante questo tempo è un riflettere sul nostro bisogno di conversione, del nostro essere segnati nella vita dal peccato, dal quale dobbiamo liberarci. Oggi la Chiesa continua ad accettare quanto chiedono di farne parte, diventando sue membra e figli di Dio. La Chiesa continua pure, anche se non se ne fa indicazione pubblica, ad accettare quanti si sono macchiati di alcuni peccati. Pensiamo a quanti si sono macchiati dell’orribile crimine dell’aborto, dice il Concilio; a quanti sono causa delle inutili stragi delle guerre, e nel mondo sotto tante forme la guerra continua a percorrere l’umanità; a quanti ricchi epuloni non si degnano neppure di offrire ai poveri Lazzaro le briciole che cadono dalle loro tavole. Ma pensiamo principalmente a noi stessi, che variamente facciamo parte della schiera dei peccatori, perché anche a noi viene rivolto l’invito di convertirci e credere al Vangelo. È la Parola di Dio che abbiamo sentito proclamare che ci illumina, dandoci la giusta indicazione riguardo al cammino da percorrere. La realtà che unisce le tre letture è il battesimo, l’impegno a ricordarci che siamo dei battezzati, che al battesimo dobbiamo attingere le energie della fede, della speranza e della carità, che ci permettono di condurre un’esistenza segnata dal nostro essere cristiani.
La prima lettura, ricavata dal libro della Genesi, il primo libro della Bibbia, ci presenta la volontà di Dio di continuare la sua relazione con l’umanità mediante un patto di alleanza. L’umanità ha rifiutato Dio, al punto che Dio è giunto alla conclusione che non era possibile continuare in quel modo. Ma Dio aveva visto Noè uomo giusto, che non poteva condannare. Ecco la ragione del salvarlo, ma insieme farlo anello iniziale di una nuova umanità, che non verrà più distrutta dal diluvio, e che ricorderà la sua alleanza con Dio mediante il segno dell’arcobaleno, che apparirà nelle nubi, quindi apparirà dopo ogni tempesta. Un’immagine materiale che preannuncia le tante tempeste che incontrerà l’umanità.
Il brano della lettera di s. Pietro ci parla della redenzione portata da Cristo. Potremmo dire, Gesù Cristo è l’arcobaleno che appare, ma realtà salvifica efficace, non semplice segno nelle nubi, perché le tempeste dell’umanità possano essere superate, grazie a quel momento particolare del battesimo, che ha segnato tutti noi.
Il brano di Vangelo, ricavato dal vangelo di s. Marco, ci presenta Gesù all’indomani del battesimo ricevuto al Giordano e al domani dello scontro che ha avuto con Satana, sconfiggendolo, perché Lui, che non ha mai peccato, Dio l’ha fatto peccato per noi, per liberarci dal peccato.
È così che noi entriamo nella Quaresima. E ci è stato detto: rafforzate in voi la fede, la speranza e la carità. Ma rafforzatele risvegliando in voi le energie poste dal battesimo. Rafforzatele mediante le opere della carità, che si fa anche elemosina, ma innanzitutto vicinanza e attenzione al prossimo, al fratello che è prossimo. Mediante la preghiera, che si fa invito ad alzare il capo per non restare inchiodati alla terra. Mediante il digiuno, che si fa consapevolezza del nostro limite, del nostro essere bisognosi, ma consapevoli che Cristo è Colui che ci permette di soddisfare il nostro essere bisognosi.
Ciascuno interroga se stesso e conclude davvero sulla strada da intraprendere. Ed è la grazia che chiediamo al Signore.