Domenica quarta T.Q. (14.3.’021).
2Cr. 36, 14 – 16-19 – 23; Ef. 2, 4 – 10; Gv. 3, 14 -21
Omelia di Don Gianfranco
La domanda che ci ha accompagnati durante queste settimane di Quaresima è stata: quale impegno devo assumere per rispondere all’invito a noi rivolto di convertirci e di credere nel Vangelo? E a questa domanda la Chiesa, nella Liturgia, ci ha ricordato l’esigenza di crescere nelle virtù cristiane della fede, della speranza e della carità, virtù cristiane concretamente realizzate nelle pratiche della carità, della preghiera e del digiuno, o mortificazione, o penitenza. Le letture che sono proclamate in questa quarta domenica di Quaresima, dal secondo libro delle Cronache, dalla lettera di s. Paolo agli Efesini, e dal Vangelo di s. Giovanni, non mancheranno certamente di essere una luce accesa su questo quadro, ma mettendo in evidenza un aspetto della vita e dell’agire umani, che non solo non dobbiamo dimenticare, ma tenere decisamente presenti. Nella vita ci sono situazioni, nelle quali l’unica conclusione che possiamo tirare è questa: da soli non possiamo uscirne, se non interviene un miracolo. E non necessariamente il miracolo fa riferimento alla fede. Se la situazione non è di ordine religioso, per miracolo si intende l’intervento di qualcuno che abbia la possibilità di far uscire da quella situazione. Il popolo d’Israele si trova in esilio a Babilonia, e la situazione appare insuperabile: mai più sarà possibile ritornare in patria. Ma cosa è successo? E la risposta di ordine religioso è questa: il popolo ha voltato le spalle a Dio, e con un atteggiamento così deciso, che Dio non ha potuto far altro che lasciarlo in balia di se stesso, e questo ha significato lasciarlo in balia dei nemici. La situazione però improvvisamente cambia. Al trono è arrivato un re diverso da quello della deportazione, e a questo re Dio ha toccato il cuore, ed egli ha dato ordine di tornare in patria, ma di riprendere innanzitutto il dialogo con Dio: costruire un tempio al Dio d’Israele. Ma il re di Babilonia non è eterno, come pure il Tempio di Gerusalemme non appare adatto a rispondere alla sua funzione di mezzo per l’incontro con Dio. Infatti nostro Signore domenica scorsa cacciando tutti dal Tempio per il comportamento che vi era tenuto, aveva condannato il fatto che fosse stato trasformato in un mercato. E’ quanto sente dentro di sé Nicodemo, che va di notte da Gesù per cercare di comprendere la strada che occorre intraprendere. E Gesù non manca di mostrare come si è di nuovo imboccata la strada sbagliata, che la notte non è solo figurata, ma un dato di fatto di una umanità, che non ama la luce, ma le tenebre, perché il suo agire è un agire cattivo, è la scelta del male, anziché del bene. Gesù però è venuto ad offrire la luce, che permetterà di superare questa situazione, insuperabile per l’umanità. Sarà il suo essere inviato nel mondo dal Padre, non per condannare, ma per salvare il mondo. E questa salvezza la si ottiene non tanto perché si è diventati migliori, ma perché si crede nel Figlio di Dio, e venendo alla luce appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio. E’ evidentemente la domanda che ciascuno di noi deve farsi: la nostra vita, e conseguentemente il nostro agire, è la conseguenza di una fede in Gesù Cristo, e un affidarsi a Lui, perché le nostre opere abbiano ad essere fatte in Dio?
E’ s. Paolo, che nella seconda lettura, un brano ricavato dalla lettera agli Efesini, traduce il senso della fede in Cristo Gesù e dell’agire nella grazia ricevuta da Cristo Gesù. Per grazia siamo stati salvati. E’ un richiamo alla grazia che abbiamo ricevuto nel battesimo. Lasciati a noi stessi, non siamo in grado di compiere il bene, ma uniti a Cristo Gesù in Lui siamo in grado di compiere le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.
La Pasqua verso la quale camminiamo ci appare veramente quell’invito a rinnovare con forza le energie ricevute nel battesimo, e partendo da quelle vivere quel traguardo, che la Liturgia ci ha presentato all’inizio della Quaresima. E’ un gesto di adorazione che a noi viene chiesto nei confronti di Cristo Gesù, nostro Salvatore, e un gesto di adorazione che vorremo tradurre nelle buone opere, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo. Ed è la grazia che vorremo chiedere, continuando la s. Messa.