Domenica quinta T.Q. (21.3.’021).
Ger. 31, 31 – 34; Eb. 5, 7 – 9; Gv. 12, 20 – 33.
Omelia di Don Gianfranco
Sempre, in particolare in questo Tempo Forte della Quaresima, la nostra partecipazione alla s. Messa, e la nostra sosta di riflessione sulla Parola che è stata proclamata, non può mancare di trasformarsi in una domanda sulla indicazione che a noi viene per la nostra vita, che quotidiana non può mancare di connotarsi come cristiana. Una domanda che guarda avanti, ma una domanda che esame di coscienza, guarda alla settimana trascorsa per cogliere come si è svolta nella luce della Parola di Dio.
L’apostolo Paolo, in una sua lettera, si rivolge ai fedeli per dire loro: ormai il tempo si è fatto corto. Ed è un invito ad accelerare il passo, a non perdere ulteriore tempo. Oggi, davanti alla quinta domenica e settimana di Quaresima, può valere la stessa esortazione: ormai il tempo si è fatto corto. La Pasqua è ormai vicina, e il nostro impegno diventa quello di trovarci preparati a celebrarla. Come sempre ci troviamo di fronte a tre brani della Scrittura, che vogliono aiutarci a crescere nella fede, in un confronto con la fede vissuta dall’umanità credente e non credente; in un confronto in particolare con Gesù Cristo, che oltre ad essere Colui in cui crediamo, è esempio di comportamento, da cui ricavare ispirazione.
Il profeta Geremia, nel brano della prima lettura, ci pone di fronte a un grosso fatto. Il popolo d’Israele vive una situazione di infedeltà verso Dio, una infedeltà tradotta in una inosservanza dell’alleanza che Dio ha stretto con lui. Ma Dio non può e non vuole perdere il suo popolo. Ecco la ragione per cui torna a promettere di stringere con il suo popolo una nuova alleanza, diversa dalla precedente. Infatti se prima era stata scritta su tavole di pietra, ora verrà scritta sul cuore degli Israeliti. Può sembrare che tutto diventi facile. Se però non dimentichiamo che il cuore è difficilmente dominabile, quindi facilmente esposto al rischio dell’infedeltà, l’indicazione diventa sorprendente. E’ in questa luce che viene incontro il brano della seconda lettura, dalla lettera agli Ebrei. Gesù è il Figlio di Dio, il Verbo Incarnato, che si è fatto in tutto Uno di noi. E questo ha significato che ha dovuto imparare l’obbedienza dalle cose che ha patito. E questo ha significato che la sua obbedienza al Padre è perfetta, non ha mancato di offrire preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime. E questo per essere salvato da morte. Una salvezza che non avrebbe interessato soltanto Gesù, ma l’intera umanità, per la quale Egli offriva la sua obbedienza, la sua vita. Può sorprendere l’affermazione che Gesù fu esaudito, quando noi fra qualche giorno lo adoreremo come Colui che offre la sua vita sulla croce, passando attraverso il mistero della croce. E’ il mistero della vita cristiana, che è mistero di speranza per il bene da compiere in questo mondo, ma mistero di bene che si può compiere se in noi c’è quell’obbedienza che è stata l’obbedienza di Gesù Cristo. Noi siamo soliti tradurla impegno a fuggire il peccato. A cui dobbiamo aggiungere: impegno a compiere il bene, a scegliere il bene. E questo sarà il nostro offrire preghiere e lacrime, della rinuncia, ma sempre con la finalità di una rinuncia che non è mai fine a se stessa, ma finalizzata alla nostra fede in Gesù.
Quanto la lettera agli Ebrei legge meditando sul mistero di Gesù Cristo, il brano di Vangelo ci presenta ricordando la vita terrena e il ministero svolto in questo mondo da Gesù Cristo. Gesù, a Gerusalemme, vive gli ultimi giorni della sua esistenza terrena. Ha avuto un’accoglienza trionfale da parte della folla e a Filippo si presentano alcuni greci per chiedere di vedere Gesù. Sono probabilmente dei convertiti all’ebraismo, venuti a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Ma soprattutto sono dei cercatori della verità. Il loro vedere va evidentemente oltre una semplice curiosità. L’Evangelista non ci dice nulla riguardo all’incontro. Ci riferisce un monologo di Gesù, una confessione, in cui parla della sua morte, del significato della sua morte e della disponibilità alla sequela da parte di chi lo accoglie e ne fa la luce e l’indicazione di cammino per la sua vita. Un cammino che avrà la conclusione di accoglienza da parte di Dio stesso. La grazia che vogliamo chiedere al Signore è di avere luce per poter contemplare il Signore, ma anche la forza per tradurre il mistero del suo esempio nelle nostre giornate.