iovedì Santo (1.4.’021).
Es. 12, 1 – 8. 11 – 14; 1Cor. 11, 23 – 26; Gv. 13, 1 – 15
Il tempo che la Chiesa ha messo ha messo a nostra disposizione, perché avessimo a prepararci a celebrare e vivere nel modo migliore la Pasqua, raggiunge il suo traguardo. Con questa s. Messa infatti noi iniziamo il Triduo Santo della Passione, morte e Risurrezione del Signore Gesù, perché diventi per noi evento di salvezza. Un termine nel quale leggiamo la nostra liberazione dal male del peccato, e la nostra possibilità di condurre un’esistenza segnata dal bene, segnata da quel bene che il Signore ci indica, e che rifiutato diventa esattamente male, diventa peccato. Scelta alternativa quindi quella che sta davanti a noi, vivere per Dio e vivere contro Dio, vivere con Gesù Cristo o disattendendo totalmente Gesù Cristo.
Abbiamo sentito proclamare tre brani della Bibbia, e poiché il brano del Vangelo chiede di occupare il primo posto, comprendiamo la ragione per cui il Giovedì Santo venga anche chiamato il giorno della lavanda dei piedi. E’ il gesto che ci colpisce in particolare, e Gesù ci aiuta a comprenderne l’importanza, il suo essere indicazione di comportamento. Il gesto della lavanda dei piedi è stato compiuto nei confronti degli Apostoli da Colui che chiamano Maestro e Signore, e Gesù precisa: dite bene, perché lo sono. Ma se io, Maestro e Signore, vi ho lavato i piedi, voi siete chiamati a fare altrettanto, lavandovi i piedi gli uni gli altri. Sarà un gesto che l’apostolo Paolo raccomanderà ai cristiani delle sue comunità, dicendo: assumete una persona al servizio della Chiesa, dopo che avrà lavato i piedi ai fratelli. Ma in ogni caso sarà un gesto che, distintivo del cristiano, si tradurrà in gesti di carità, di qualunque genere, purchè siano servizio del prossimo.
Ma la Parola di Dio non si limita al gesto della lavanda dei piedi. Il brano della prima lettura, dal libro dell’Esodo, ci porta nel clima dell’uscita del popolo d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto. E’ il clima di un evento atteso e preparato lungamente, e che finalmente si realizza. Ed è un evento che conserverà sempre una carica di attualità, destinata a non finire. Dove vuoi che prepariamo perché tu possa mangiare la Pasqua? Chiedono gli Apostoli. E Gesù, da ebreo che viveva gli eventi del suo popolo, dà le indicazioni. Ma quella che ora celebra è una Pasqua tutta diversa, è la sua Pasqua, e la Pasqua che consegna a noi, alla Chiesa, al suo popolo, all’umanità diventata suo popolo. E anche questa Pasqua, in un certo senso assorbendo la Pasqua precedente, avrà in sé la carica della durata per sempre, la carica dell’eternità: fate questo in memoria di me. Ma perché questo si realizzi, dirà Gesù, occorre bandire dalla Pasqua ogni formalismo, ogni sentimento o atteggiamento che non sia di autenticità. Che non sia un fatto del cuore, in cui la Pasqua viene scolpita e resta per sempre.
Fate questo in memoria di me, dice Gesù ai suoi Apostoli. E noi, proprio aggrappandoci a questa Parola del Signore, aggrappandoci all’autorità degli Apostoli, viviamo tutto questo nella celebrazione della s. Messa, nell’Eucarestia. Comprendiamo perché la Chiesa senta di nascere dall’Eucarestia e senta di vivere dell’Eucarestia. Un ragazzo, il beato Carlo Acutis, quindicenne, ce ne dà l’espressione riassuntiva: l’Eucarestia è l’autostrada per il cielo. Noi, posti davanti alle tante autostrade del mondo, faremo bene a riflettere su questa indicazione a noi data da un quindicenne, che ha il coraggio di morire serenamente a quindici anni, dicendosi certo di andare ad incontrare il Signore, perché ha trovato l’autostrada giusta.
L’apostolo Paolo, nel brano della seconda lettura, ci parla della celebrazione della s. Messa, come avveniva a Corinto. E’, la sua, una parola che richiama il preciso significato e contenuto dell’Eucarestia. Ma è anche una parola che biasimando un certo modo di partecipazione all’Eucarestia, in dica come l’Eucarestia debba diventare indicazione di comportamento. Allora veniva celebrata al termine di una cena, a cui ciascuno portava un suo contributo. Ma in cui capitava che ciascuno finisse per esprimere il suo egoismo, i suoi particolarismi. L’Apostolo non manca di riprendere con forza tale atteggiamento, avvertendo: questo non è più un mangiare la Cena del Signore, non è più un lavarsi i piedi gli uni gli altri, non è più un evento di salvezza che ha in sé la nota dell’autenticità, ma, severa parola, è mangiare la propria condanna.
L’umanità in questo tempo si interroga sul come siamo arrivati a vivere la situazione di pandemia. Non sta certo a questo momento sentenziare sulle sue cause materiali. Non possiamo però negare che esiste una pandemia nel mondo, legata al fatto che si è persa l’autostrada del cielo, dell’Eucarestia, l’autostrada del superamento di ogni egoismo che si nasconde nel cuore dell’uomo. Il dono che chiederemo al Signore sia di ritrovare questa autostrada.